Terapia ormonale sostitutiva
Gli ormoni sono sostanze che controllano quando e come alcuni organi devono funzionare. Gli estrogeni sono quelli che regolano la funzione riproduttiva della donna, quelli che producono le mestruazioni, quelli che sostengono la gravidanza e quelli che vengono meno al momento della menopausa, quando le ovaie cessano di funzionare. Tuttavia, proprio dagli effetti che si verificano in menopausa, è possibile dedurre che gli estrogeni agiscono anche su molti altri organi e
tessuti dell’organismo femminile. In conseguenza della loro riduzione compaiono sintomi vasomotori (vampate, sudorazioni, ansia, irritabilità, insonnia, instabilità umorale), si riduce la lubrificazione vaginale, si può modificare l’aspetto della pelle (meno elastica e più secca), e dei capelli (più sottili e più fragili), si modificano in peggio i valori del colesterolo (favorendo le placche di aterosclerosi), aumenta la perdita di calcio contenuto nelle ossa, predisponendo ad una loro maggiore fragilità. In varie condizioni nelle quali viene meno la secrezione di ormoni si interviene con la somministrazione delle sostanze necessarie dall’esterno: capita, per esempio, nelle malattie della tiroide, somministrando l’ormone specificamente prodotto da questa ghiandola, o nel caso di diabete, somministrando l’insulina: in questi casi di intervento ormonale dall’esterno, per far fronte ad un deficit oramai cronico, si parla di terapia ormonale sostitutiva, ma oggi tale termine viene riservato quasi esclusivamente alla somministrazione di estrogeni alle donne in menopausa. I vantaggi più immediati della terapia ormonale sostitutiva (HRT) sono quelli di ridurre i sintomi vasomotori più fastidiosi: vampate e sudorazioni. Accanto a questi benefici, misurabili e ben apprezzabili, altri effetti si evidenziano più gradualmente, nel miglioramento dell’umore, della energia fisica, della cute, delle mucose, soprattutto conservando, a livello vaginale, una lubrificazione ottimale, senza la quale i rapporti possono diventare particolarmente fastidiosi e a volte dolorosi. Insomma intervengono in quella che può essere considerata, con termine omnicomprensivo, la qualità della vita. Questo obiettivo rimane con il prosieguo della terapia. In quelle più durature, ossia dopo 3-4 anni, i benefici sono evidenti anche sulle ossa, sui lipidi, sulla glicemia e probabilmente sul distretto cardiovascolare sulla elasticità dei vasi. Recenti studi sembrano mostrare
anche effetti positivi nel ridurre l’invecchiamento delle cellule cerebrali. Come qualsiasi terapia, soprattutto se a lungo termine, anche questa non è completamente priva di rischi e controindicazioni. La somministrazione di soli estrogeni causa una crescita eccessiva dell’ endometrio, e questo può aumentare il rischio di tumori dell’endometrio. Per ridurre questo rischio si prescrive di solito anche un progestinico che limita la crescita dell’endometrio. Ma, in genere, la preoccupazione maggiore, per le donne, è se la terapia ormonale produce un aumentato rischio di tumori al seno. Malgrado se ne parli praticamente da sempre, le opinioni non sono univoche. Ogni tanto qualche giornale riporta dati allarmanti, altre volte le notizie sono rassicuranti. Un primo dato è che un possibile effetto dannoso non deve essere così grande se rimane ancora poco determinato. Uno dei lavori più scrupolosi, dopo aver analizzato gran parte degli studi disponibili conclude con questi numeri: se si seguono 1.000n donne per 20 anni, dai 50 ai 70 anni, si osservano mediamente 45 neoplasie al seno. Dunque una incidenza del 4,5%. Se queste 1.000 donne fanno terapia con estrogeni, ai dosaggi medi, in 20 anni il numero di neoplasie sarà di 47 casi, ossia 2 in più.
Una differenza insignificante. Si può dire che ogni anno di terapia comporta un piccolissimo rischio in più, lo stesso che corre ogni donna che ritardi di qualche anno l’entrata in menopausa, o che abbia qualche chilo in più rispetto al peso forma (il tessuto adiposo può produrre un clima estrogenico superiore alla media). L’impressione è che per 5-10 anni i rischi siano eguali o solo di poco superiori a quelli cui comunque ogni donna si trova ad essere esposta. E’ possibile che una buona sorveglianza riduca comunque i rischi più gravi: uno studio della America Cancer Society, ha evidenziato che in 422.000 donne in menopausa, seguite per 9 anni, la terapia sostitutiva è stata associata ad una riduzione significativa di mortalità da cancro del seno. Nei primi 8-12 mesi è possibile che si verifichi un aumento dei casi di tromboflebiti profonde, patologie importanti perché possono dare luogo ad embolie. Per fortuna il rischio, in assoluto, è talmente basso (circa 3 su 1.000) che anche un incremento non appare preoccupante. Tale rischio scompare dopo i primi 9-12 mesi. E’ possibile che a questo rischio siano più vulnerabili alcune donne predisposte, che si cerca di individuare sia sulla base di notizie anamnestiche (la storia propria e quella dei familiari) sia mediante alcuni esami del sangue ed esame clinico.
Vi sono diverse vie di somministrazione (orale, cerotti,gel cutaneo,nebulizzazioni endonasali,via vaginale), diversi dosaggi, oggi mediamente più bassi rispetto a qualche anno addietro, e differenti modi di associare fra loro estrogeni e progestinici:ciclica interrotta, ciclica continua, combinata continua.
La ciclica interrotta cerca di mimare quanto si verifica nel ciclo mestruale fisiologico: gli estrogeni vengono assunti per circa 25 giorni, i progestinici per 10-14 giorni, e nessuna terapia per 7 giorni, durante i quali è facile che si verifichi un flusso simile a quello dell’epoca riproduttiva;
la ciclica continua prevede estrogeni senza interruzioni ed i progestinici sempre per 10-14 giorni. Mentre si assumono solo estrogeni è possibile avere flussi mestruali, che peraltro possono anche mancare; questa modalità evita di avvertire sintomi da carenza estrogenica come può verificarsi nella ciclica interrotta;
la combinata continua prevede gli estrogeni ed i progestinici in modo continuo, senza interruzioni. Perdite simil-mestruali possono verificarsi nei primi mesi, ma dopo circa un anno la maggior parte delle donne smettono di avere flussi. Molte donne ritengono che sia utile interrompere la terapia per 2-3 mesi ogni anno: come se così si aiutasse a smaltire sostanze esterne, quasi ci si volesse disintossicare. Non si hanno prove che ciò sia vero. Vi è invece l’ipotesi che queste interruzioni, se molto frequenti, ostacolino gli equilibri positivi che l’organismo raggiunge gradualmente: un po’ come se dopo essersi abituati ad una certa
altitudine si scendesse a valle per poi risalire in alto. Si dispone di vari farmaci che possono agire in alternativa agli estrogeni, a volte con effetti abbastanza buoni, anche se di rado della stessa efficienza, almeno sui sintomi vasomotori. I controlli periodici sono veramente utili per ogni donna in menopausa. Tali controlli
sono indispensabili per misurare l’efficacia e l’adeguatezza della terapia in corso. La terapia può produrre effetti positivi, rendendo possibile il raggiungimento di una migliore qualità di vita. Per favorire una buona longevità, il più possibile esente da disagi e menomazioni, tale che valga davvero la pena di essere vissuta. Ma i farmaci da soli non sempre sono sufficienti: il loro effetto si esprime al meglio solo quando si segua una saggia alimentazione (ricca di calcio e vitamine,
povera di grassi), ed una adeguata attività fisica.