Disturbi menopausali nelle donne operate per carcinoma mammario: una condanna senza appello?

di Nicoletta Biglia, Franziska Kubatzki, Davide Marenco, Paola Sgandurra, Elisa Peano, Piero Sismondi Dipartimento di Ginecologia Oncologica, Università di Torino, Ospedale Mauriziano “Umberto I” e Istituto per la Ricerca e Cura del Cancro (IRCC) di Candiolo, Torino.

RIASSUNTO

Molte donne operate per un carcinoma mammario soffrono di sintomi menopausali, in particolare le donne giovani in menopausa precoce indotta dalle terapie adiuvanti (chemio-ormono). Essendo la terapia ormonale (HT) controindicata nelle donne con pregresso carcinoma mammario, si pone il problema di scegliere una terapia alternativa. Il problema principale è rappresentato dai sintomi vasomotori. I fitoestrogeni, la Cimicifuga Racemosa, la vitamina E danno risultati analoghi al placebo, mentre i progestinici risultano efficaci, ma non esistono dati sulla loro sicurezza. Il tibolone efficace sulle vampate, sull’osteoporosi, sulla secchezza vaginale è in studio nelle donne con pregresso carcinoma mammario. Tra le alternative non ormonali, due antiipertensivi, clonidina e metildopa, hanno modesta efficacia, ma il loro utilizzo è limitato dagli effetti collaterali. Gli antidepressivi, appartenenti alla classe degli SSRI (paroxetina, fluoxetina) e SNRI (venlafaxina) sono considerati attualmente gli unici farmaci efficaci e sicuri per controllare le vampate. Sono in corso studi promettenti con la mirtazapina, il citalopram e il gabapentin. Per i sintomi legati all’atrofia uro-genitale, i lubrificanti/reidratanti vaginali sono poco efficaci, contrariamente ai preparati topici contenenti estrogeni. La sicurezza degli estrogeni vaginali nelle donne con tumore mammario non è stata accertata, tuttavia, dosi molto basse potrebbero essere efficaci e sicure visto lo scarsissimo assorbimento sistemico di questi preparati.

Introduzione

Sino a pochi anni fa il trattamento dei sintomi della menopausa per le donne che avevano avuto un carcinoma della mammella era considerato quasi un “tabù”. L’idea generale era che si trattasse di problemi irrilevanti, quasi frivoli per una paziente oncologica ed infatti le stesse donne erano riluttanti a parlare al curante di sintomi come le vampate di calore, la secchezza vaginale o la difficoltà nei rapporti sessuali. Grazie ai progressi in campo diagnostico e terapeutico, molte donne trattate per un cancro della mammella guariscono o comunque hanno un lungo periodo di sopravvivenza dopo l’intervento. Questa consapevolezza ha aumentato l’attenzione verso la qualità di vita e l’opportunità di preservare la salute dai danni dell’invecchiamento e della carenza ormonale, particolarmente per le pazienti colpite dal cancro in giovane età, esposte ai danni di una menopausa precoce. Inoltre la chemioterapia e l’ormonoterapia, ampiamente utilizzate dopo l’intervento chirurgico a scopo adiuvante, se da un lato hanno contribuito a migliorare la prognosi, d’altra parte aumentano la frequenza e la severità dei sintomi menopausali (1). Nonostante queste considerazioni siano da tutti condivise, permangono – Disturbi menopausali nelle donne operate per carcinoma … Riv. It. Ost. Gin. – 2007 – Vol. 14 pag. 679 timori e incertezze sulla sicurezza della terapia ormonale (HT) in queste pazienti per le quali l’uso di estrogeni è a tutt’oggi formalmente controindicato, al di fuori di studi clinici controllati o di situazioni particolari (pazienti fortemente sintomatiche, a basso rischio di ricaduta, non responsive ai trattamenti alternativi, adeguatamente informate)(2). La “bufera” che si è scatenata negli ultimi anni sulla HRT, sebbene ampiamente immotivata, ha reso ulteriormente prudenti sulla possibilità di prescrivere estrogeni ad una donna con carcinoma mammario (3). La necessità di fornire comunque un aiuto alle pazienti che presentano severi sintomi menopausali stimola la ricerca di trattamenti non ormonali, capaci di alleviare i sintomi e nel contempo ininfluenti sulla prognosi di malattia e privi di importanti effetti collaterali.

Alternative terapeutiche

Sintomi vasomotori

I sintomi vasomotori rappresentano il principale sintomo che spinge la paziente con carcinoma mammario a richiedere un trattamento e nel corso degli anni numerosi prodotti come vitamina E (4), clonidina (5), metildopa (6) e fitoestrogeni (7) sono stati utilizzati nel tentativo di alleviare tale sintomatologia. Molti di questi preparati tuttavia non hanno mostrato alcuna efficacia quando confrontati con il placebo, che è in grado di dare una buona risposta nel 25-35% circa delle donne con carcinoma mammario. La clonidina ha un’efficacia modesta, ma il suo utilizzo è limitato dalla scarsa maneggevolezza e dai possibili effetti collaterali. I fitoestrogeni non hanno fornito risultati superiori al placebo negli studi controllati ed inoltre non vi sono dati sulla loro sicurezza in queste pazienti, in quanto non si può escludere che agiscano come estrogeni deboli sul tessuto mammario. Molto efficace è il trattamento con progestinici, come il megestrolo acetato a basse dosi (40 mg/die) oppure il MPA acetato depot , che sono in grado di alleviare le vampate nella quasi totalità delle pazienti anche trattate con tamoxifene (8,9). Tuttavia, sebbene questi stessi farmaci siano stati utilizzati in passato a dosi molto più elevate per il trattamento del carcinoma mammario metastatico, non esistono dati sulla loro sicurezza a basse dosi (3). In pratica gli unici farmaci efficaci e presumibilmente sicuri per il controllo delle vampate di calore nelle donne con pregresso tumore mammario sono, ad oggi, gli antidepressivi appartenenti alla classe dei SSRIs (10), fra cui la fluoxetina (11), e la paroxetina (12) e degli SNRI come la venlafaxina (13,14), utilizzati con questa indicazione in genere a dosi più basse rispetto a quelle richieste per la cura della depressione. Il farmaco più studiato è la venlafaxina, disponibile a dosaggi variabili da 37,5 a 150 mg/die; l’efficacia è dose-dipendente e la dose che offre il migliore bilanciamento fra efficacia ed effetti collaterali varia fra 37.5 e 75 mg/die. L’effetto è molto rapido, in genere entro 2 settimane dall’inizio della terapia; le dosi più basse tuttavia possono richiedere un periodo anche più lungo di trattamento per dare buoni risultati (14). La venlafaxina, come gli altri farmaci di questa categoria, è in genere ben tollerata e gli effetti collaterali più frequenti sono limitati a nausea nei primi giorni di assunzione, stipsi, secchezza delle fauci. Sono oggi in studio anche altri antidepressivi di nuova generazione, come la mirtazapina (15), appartenente alla classe dei NASSA (Noradrenergic and specific Serotoninergic antidepressant) ed il gabapentin (16), un farmaco utilizzato da anni ad alto dosaggio con varie indicazioni, dall’epilessia, al dolore cronico, agli attacchi di panico. Uno studio condotto presso il nostro Istituto con mirtazapina al dosaggio di 30 mg/die ha fornito risultati promettenti, con una riduzione del 50% circa della frequenza e dell’intensità delle vampate dopo due mesi di trattamento. Il principale effetto colletarale di questo farmaco, lamentato dal 20% delle donne, era costituito dalla sonnolenza. Occorre tuttavia sottolineare che il 29% delle pazienti non ha mai iniziato il trattamento proposto dopo l’inclusione in studio; i motivi addotti erano la riluttanza ad assumere farmaci che agiscano sul sistema nervoso, la paura di essere considerate “pazze” e una certa resistenza da parte dei medici curanti. Diversa è sicuramente l’esperienza americana, dove il consumo di farmaci antidepressivi anche fra la popolazione generale, è molto diffuso. Un recente ampio studio randomizzato ha mostrato l’efficacia del gabapentin nel controllo dei sintomi vasomotori; questo lavoro tuttavia non era stato condotto su pazienti con pregresso tumore della mammella (16). Una nostra esperienza preliminare su pazienti fortemente sintomatiche, per la maggior parte in trattamento con Tamoxifene, sembra confermare l’efficacia del preparato al dosaggio di 900 mg/die in tre somministrazioni, con benefici superiori a quelli riportati nel braccio di controllo trattato con vitamina E, assimilabile per efficacia ad un placebo.

Atrofia vaginale

Anche la secchezza vaginale e le conseguenti difficoltà nella vita sessuale sono frequenti nelle pazienti in menopausa con carcinoma mammario (1). Nuovamente, il trattamento più efficace prevederebbe l’impiego di estrogeni per uso topico, ma su questo aspetto le indicazioni della letteratura sono davvero carenti e vaghe (2). Anche se il timore di influenzare sfavorevolmente il decorso della malattia è minore con la terapia topica rispetto alla HT sistemica, in mancanza di linee guida chiare la maggior parte dei medici preferisce consigliare i lubrificanti o reidratanti vaginali, che forniscono tuttavia un modesto beneficio se confrontati con il placebo (17). Studi recenti condotti su donne in menopausa hanno tuttavia dimostrato che il dosaggio attualmente impiegato per la terapia topica vaginale (100-500 µgr) è troppo elevato se l’obiettivo è esclusivamente quello di migliorare il trofismo vaginale (18,19). Risultati buoni, sia in temini soggettivi sia oggettivi, si possono ottenere anche con l’impiego di dosi molto basse di estrogeni, sino a 10 µgr/die. Interessante è il fatto che con queste concentrazioni non si rilevano modificazioni dei tassi circolanti di estradiolo e di estrone nel sangue delle donne trattate, anche utilizzando test di valutazione ultrasensibili. I livelli circolanti di estrogeni infatti restano sempre nel range di normalità per la postmenopausa. Un problema emergente potrebbe essere rappresentato dalle pazienti in terapia adiuvante con inibitori dell’aromatasi; questi farmaci, inizialmente impiegati per la malattia metastatica, vengono oggi usati sempre di più al posto del Tamoxifene o in sequenza ad esso anche in terapia adiuvante nelle donne in menopausa. Gli inibitori dell’aromatasi determinano una completa soppressione della produzione di estrogeni inibendo l’aromatizzazione nei tessuti periferici; nelle pazienti così trattate quindi anche la minima stimolazione estrogenica determinata dalla terapia topica vaginale potrebbe essere di qualche rilievo. Sono in corso studi per valutare l’effetto di bassissime dosi di estrogeni vaginali anche in questo ambito. In linea generale comunque, pur in assenza di studi clinici specifici, è ipotizzabile che un trattamento con estrogeni topici a bassissimo dosaggio possa essere utilizzato con sicurezza anche nelle donne operate per un carcinoma della mammella.

Tibolone

Un capitolo a parte è rappresentato dal tibolone, uno steroide di sintesi con attività estrogenica, progestinica ed androgenica, efficace nel controllo della sintomatologia vasomotoria, distrofica genitale e dell’osteoporosi, attualmente oggetto di dibattito. Dati preliminari sperimentali, sia in vitro sia in modelli animali, evidenziavano un effetto antiproliferativo sulla mammella (20), mediato probabilmente dalla riduzione della sintesi di estrogeni attivi a livello del tessuto mammario. A sostegno di questa ipotesi i dati clinici mostravano un effetto trascurabile, molto minore di quello determinato dalle tradizionali associazioni estroprogestiniche, sulla mastodinia e sulla densità radiologica della mammella, considerati come “indicatori secondari” dell’azione di un preparato sulla ghiandola mammaria (21). Su queste basi uno studio multicentrico prospettico e controllato con questo farmaco in donne operate per carcinoma mammario con sintomi menopausali ha iniziato il reclutamento nel 2002. Tuttavia due recenti trial, lo studio osservazionale inglese One Million Women (22) e lo studio di coorte danese (23) hanno destato una certa preoccupazione, evidenziando un aumento del rischio di carcinoma mammario significativo, sebbene inferiore a quello della HT, nelle donne in menopausa che assumono il Tibolone. Questi dati non sono confermati in un altro lavoro inglese, condotto sulla base delle informazioni raccolte dai medici di famiglia inglesi (24). Lo studio LIBERATE era stato preceduto da uno studio pilota preliminare condotto su 70 pazienti con pregresso carcinoma mammario in trattamento con Tamoxifene che lamentavano sintomi vasomotori, i cui risultati sono già stati pubblicati (26). Le pazienti, suddivise in due gruppi, hanno ricevuto 2,5 mg di Tibolone oppure di placebo quotidianamente per un periodo di 12 mesi. Il principale end point dello studio era valutare l’efficacia del Tibolone sulla frequenza e severità dei sintomi vasomotori, mentre obiettivi secondari erano la valutazione dell’interferenza di questi sintomi sulla qualità della vita, l’efficacia del farmaco sulla secchezza vaginale ed il profilo di sicurezza endometriale, indagato mediante ecografia e biopsia dopo sei e dodici mesi dall’inizio della terapia. Nel gruppo trattato con Tibolone si è avuta una significativa riduzione dell’intensità delle vampate di calore rispetto al placebo. I dati sull’endometrio sono tranquillizzanti, con caratteristiche istologiche e spessore endometriale sovrapponibili nei due gruppi, così come il numero di episodi di sanguinamento vaginale anomalo. Infine, la mammografia e l’esame clinico senologico non hanno mostrato differenze nei due gruppi di trattamento. Per lo studio LIBERATE invece non sono ancora disponibili i risultati definitivi. Si tratta di uno studio multicentrico randomizzato controllato con placebo, in doppio cieco, condotto per valutare la sicurezza e l’efficacia del Tibolone in donne che hanno avuto un carcinoma della mammella e lamentano sintomi menopausali. L’obiettivo principale dello studio è dimostrare l’equivalenza del Tibolone e del placebo nell’incidenza di ripresa di malattia, locale o a distanza e sulla sopravvivenza globale; obiettivi secondari sono la valutazione dell’efficacia del farmaco su sintomi menopausali e sulla densità minerale ossea. Dopo la pubblicazione di quanto emerso dallo studio One Million Women sulla mammella e sull’endometrio, il safety board indipendente dello studio si è riunito e ha deciso di continuare il reclutamento, pur informando adeguatamente le pazienti dei nuovi dati. Lo studio multicentrico è attualmente in corso ed il 15 dicembre 2004, nei 248 centri partecipanti distribuiti in 31 nazioni, si è conclusa la fase di arruolamento con 3149 pazienti randomizzate. L’elaborazione dei dati al momento del reclutamento mostra un’età media delle pazienti di 53 anni, con body mass index medio di 27. Tutte le pazienti incluse erano sintomatiche con una media di sette vampate al giorno con sei episodi di sudorazione notturna. Il 48% delle pazienti aveva un carcinoma di diametro superiore ai 2 cm con linfonodi metastatici nel 58% dei casi; l’80% dei tumori esprimeva una positività per il recettore degli estrogeni ed il 72% per il progesterone. Tutte le pazienti arruolate erano state sottoposte ad intervento chirurgico da poco più di due anni. Il 74% delle pazienti riceveva 20 mg al dì di Tamoxifene ed il 9% era in terapia con inibitori dell’aromatasi. L’ultima analisi ad interim del comitato di sicurezza ha confermato la prosecuzione dello studio senza alcuna variazione al protocollo poiché, attualmente, non si sono registrate un maggior numero di recidive nel braccio in terapia con Tibolone, rispetto a quello trattato con placebo; la prossima riunione del comitato è prevista per giugno 2007. Dopo la sospensione dello studio HABITS (25) che prevedeva l’impiego della HT e del placebo, il Liberate rimane quindi l’unico grosso studio prospettico e controllato attualmente in corso riguardante la gestione dei sintomi menopausali nelle donne con pregresso tumore mammario.